S. CECILIA A TORREBELVICINO

S. Cecilia (<1300)
S. Cecilia (<1300)
S. Cecilia (1910)
S. Cecilia (1910)

Molte persone a Torre si ricordano della chiesetta di S. Cecilia, abbattuta per far posto alla nuova ala della scuola elementare; forse qualcuno ha sentito parlare dell'altra chiesa di S. Cecilia che si trovava lungo via XXIX Aprile, un tempo Strada Regia, di fronte al vecchio municipio, anche questa demolita per ricavarne lo spazio necessario alla piazza, poi denominata Cavalieri di Vittorio Veneto.

La comunità di Torre, anche se può vantare una schola cantorum e altri gruppi corali di tutto rispetto, non si è dunque dimostrata particolarmente devota della santa martire patrona del canto liturgico; forse ha rimediato dedicando a Santa Cecilia, oltre a San Lorenzo e a Santa Bakhita, il nuovo altare maggiore della chiesa parrocchiale (14 ottobre 2005). In queste pagine cercherò di raccontare come si sono svolte le vicende di questa storia appartenente al nostro passato non troppo lontano.

 

La chiesetta di Santa Cecilia, scrive nel 1814 Gaetano Maccà, viene nominata per la prima volta in un documento del 1482, ma Paolo Pretto la trova già citata in documenti del 1311; costruita su fondamenta di un edificio più antico, si dice che anticamente sia stata la parrocchiale della "villa" [ = località] di Torrebelvicino.

 

Nel 1581 Natale Righi, vescovo di Veglia originario di Torre, consacrò l'altar maggiore di questa chiesa: non rimane traccia della lapide in marmo nero che ricordava l'avvenimento, portata in canonica nel 1910, in seguito alla demolizione della chiesa.

 

Agli inizi dell'800 l'edificio sacro, sempre secondo il Maccà, apparteneva al Comune e un cappellano vi celebrava la Messa festiva "e tre circa alla settimana". Luigi Fedeli nelle sue Memorie scrive che ogni anno nella Settimana Santa i turritani partivano in processione da questa chiesetta per raggiungere la parrocchiale per le Quarantore; ricorda anche che a sostenere la spesa per messe, paramenti sacri, la manutenzione e la pulizia si erano offerte le più importanti famiglie del paese: "in testa i Nob. Valle e fra le altre i Pietrobelli da Casalena, i Pilati, un Matense da Mondonovo ed altri".

 

Alla fine del secolo però l'oratorio di Santa Cecilia è ridotto in condizioni assai deplorevoli: da circa trenta anni non si celebrano più funzioni sacre; trasportati nella chiesa parrocchiale due quadri, è utilizzato come magazzino e ripostiglio. Il 2 gennaio 1896 il capomastro muratore, Antonio Fanchin, scrive alla Giunta Municipale di Torre che il tetto "trovasi in uno stato assai deplorevole anzi in pericolo di cascare specialmente se dovesse venire una ordinaria nevicata".

Il Consiglio Comunale, il sindaco è Giuseppe Maule, si dichiara convinto della necessità di riparare urgentemente il coperto della chiesa, ma non ci sono soldi per farlo e perciò, "all'unanimità per alzata di mano", chiede alla Fabbriceria parrocchiale di eseguire i lavori, promettendo di sostenere metà della spesa prevista, 150 lire. La Parrocchia, retta allora da don Pietro Marcolongo, è impegnata nella costruzione del nuovo campanile e perciò non se la sente di sobbarcarsi anche questo lavoro: con la lettera del 9 giugno 1896 la Fabbriceria risponde che non intende "immischiarsi in altri lavori fino a che non sia ultimato il campanile", cioè prima del prossimo inverno; chiede inoltre che il contributo del Comune sia calcolato non sul preventivo di spesa ma sul costo effettivo dell'opera compiuta. Ritiene anche giusto che "prima di ricorrere alla carità pubblica si avessero a far pratiche presso i patroni di detta Chiesa, se ve ne sono": riferimento alle famiglie abbienti di Torre ricordate da Luigi Fedeli, magari presenti in Consiglio Comunale?

La lettera si conclude con una dichiarazione di buona volontà da parte della Parrocchia: "La detta volontà è sempre animosa con noi, ma abbiamo purtroppo a fare col potentissimo dio quattrino...". Lascio al lettore il compito di scoprire le somiglianze tra il secolo di cui stiamo parlando e i nostri tempi. La questione è complicata dal fatto che non si sa chi sia il proprietario dell'edificio: il Comune, che non si sente obbligato ad "assumersi i ristauri", propone di "far cessione della Chiesa alla Fabbriceria di S. Lorenzo", ma allude anche ai diritti di "eventuali padroni".

 

Alla fine la Giunta comunale decide di incaricare Cesare Zambon di rattoppare alla meglio il tetto cadente, spendendo il meno possibile; ma il muratore, compiuta una prima ispezione, informa che il coperto è così mal messo da richiedere un intervento radicale, e perciò costoso, dato che le travature sono da cambiare; il possibile crollo della struttura potrebbe anche causare danni alle persone in transito nella via principale del paese, lungo la quale sorge il sacro edificio.

A questo punto il Comune decide di far abbattere il tetto: nel dicembre 1897 il lavoro è compiuto e il 15 gennaio 1898 Cesare Zambon presenta il conto di lire 92,35. Qualche anno dopo il Consiglio Comunale cederà al Comitato per la costruzione del nuovo coro della chiesa di San Lorenzo, che ne aveva fatto richiesta, "il legname del demolito coperto dell'oratorio di Santa Cecilia" (deliberazione del Consiglio del 24 maggio 1903).

 

Nel primi anni del nuovo secolo a Torre si comincia a parlare anche "del posto meglio adatto alla costruzione di una piazza nel nostro capoluogo": due sono le località in discussione: davanti alla farmacia o davanti al Municipio. Prevale quest'ultima proposta, "comportando solo la demolizione della vecchia Chiesa di S. Cecilia da tempo abbandonata e in parte abbattuta" e l'acquisto di qualche orto, per un totale di spesa prevista di lire 5.500 circa. Non si parla più quindi di restauro dell'antico edificio, ma della sua demolizione: la Fabbriceria è d'accordo, a patto che il Comune ceda un "lembo di terra di sua proprietà, che trovasi di fronte alla stazione ferroviaria", vicino alle scuole elementari, sul quale poter erigere un nuovo oratorio. L'accordo tra Comune e Parrocchia è subito siglato, con l'unanime voto favorevole del Consiglio Comunale del 9 dicembre 1908, sindaco Gio Batta Gasparini; ma il prefetto di Vicenza comunica che "per far tutto ciò occorre ottenere la superiore autorizzazione delle autorità civile", cioè la sua. E prima di concederla il prefetto vuole informazioni sulla chiesa da demolire, con foto, per "conoscere se abbia importanza per antichità o storia"; anche la cessione del terreno alla parrocchia per poter essere autorizzata deve prima essere valutata. Anche la Sopraintendenza ai monumenti, per "dare il permesso di demolizione", vuole conoscere in modo più approfondito le caratteristiche e la storia dell'edificio in questione. Il sindaco incarica il prof. Tomaso Pasquotti, Regio Ispettore dei Monumenti, di compiere una visita alla chiesa e di presentare poi una relazione. Tomaso Pasquotti, famoso pittore di Schio, autore anche dei dipinti del coro dell'antica pieve di Pievebelvicino, svolge l'incarico affidatogli: dalla sua descrizione e dalle foto allegate (21 aprile 1909) possiamo capire com'era la chiesa di Santa Cecilia, un unico vano rettangolare, che occupava meno della metà della piazza attuale, con presbiterio e tre altari. L'illustre prof. Pasquotti si sofferma soprattutto a descrivere l'affresco della parete destra, molto deteriorato, nel quale riconosce la Vergine seduta in trono al centro, con a destra santa Agata e santa Cecilia e a sinistra due vescovi (Donato Righi e suo pronipote Natale Righi e suo pronipote Natale Righi, turritani ambedue vescovi di Veglia); nessun cenno nella relazione all'altar maggiore a agli affreschi dei due altari laterali, che dalle foto appaiono più interessanti. Soprattutto quelli dell'altare di destra, meglio conservati, presentano la Madonna seduta col Bambino tra S. Giorgio e S. Antonio Abate, con in alto Cristo sofferente tra due angeli. Colpiscono la desolazione e l'abbandono dell'ambiente. Il giudizio dell'esimio professore è perentorio e non lascia spazio a incertezze:"...nulla vi ho rinvenuto che meriti considerazione... non val la pena di occuparsene... talmente deteriorato che, dopo coscienzioso esame, non trovo, per me, che valga la pena di conservarlo... ".

 

E' la condanna a morte della chiesetta di santa Cecilia, ma non tutti sono d'accordo: il Sopraintendente ai Monumenti del Veneto e la Commissione Conservatrice dei Monumenti di Vicenza vorrebbero salvare alcuni affreschi e l'altare maggiore "da conservare nella Chiesa Parrocchiale". La questione rischia di andare per le lunghe, allora il sindaco, desideroso di realizzare la piazza, scrive al deputato Gaetano Rossi e al conte Giovanni da Schio, coinvolge perfino il senatore Antonio Fogazzaro e, dopo un'ulteriore ispezione alla chiesa da parte delle autorità competenti, ottiene l'attesa autorizzazione ad abbattere l'edificio: "Ora se è doveroso conservare sia pur le reliquie delle opere importanti, sarebbe eccessivo esigere dal Comune di Torrebelvicino di assoggettarsi ad una spesa relativamente elevata per un'opera di scarsissimo valore." La Sopraintendenza ai Monumenti di Venezia chiede che siano fatte delle foto degli affreschi e raccomanda che nel corso della demolizione si usino particolari precauzioni "caso mai vi fosse qualche pietra con iscrizioni o sotto il pavimento attuale ne esistesse un altro con qualche tomba." Non si ha notizia del ritrovamento di qualche reperto di valore per la nostra storia durante l'abbattimento della chiesa di santa Cecilia, che avvenne nei primi mesi del 1910.

 Silvino Marzotto

(articolo tratto da "Tra Noi" Dicembre 2012 - Anno XXI, n. 67)

PIAZZA "CAVALIERI DI VITTORIO VENETO" IERI E OGGI

Argomento per l'esame di maturità di Gelain Giovanni - Anno scolastico 2015/2016

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S. Cecilia e altre storie... a Torrebelvicino
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